L’aumentata prevalenza del Disturbo dello Spettro Autistico (ASD) nei soggetti di sesso maschile rispetto a quelli di sesso femminile è un dato conosciuto da tempo nella letteratura scientifica.
Nello specifico, stime recenti indicano un rapporto maschi/femmine di tre a uno, rispettivamente. Questa discrepanza ha da sempre influenzato il modo in cui noi pensiamo e valutiamo la presenza di sintomi “autistici”: è come se avessimo in mente un modello di autismo in blu, declinato al maschile. Logica conseguenza per i soggetti di sesso femminile é una diagnosi di ASD mancata o tardiva (in età adolescenziale), in particolare quando sono coinvolte ragazze che non presentano una disabilità intellettiva associata.
Un approccio intelligente per risolvere questo bias diagnostico, secondo alcuni autori, potrebbe essere quello di attribuire maggior valore alle prime preoccupazioni dei genitori, considerato sempre più dagli esperti del settore uno strumento estremamente affidabile di valutazione. Bisogna considerare, tuttavia, che non tutti i comportamenti messi in atto da un bambino autistico preoccupano il genitore allo stesso modo: in questa valutazione entrano in gioco le aspettative sociali legate al genere di appartenenza del bambino. Nello specifico, la timidezza o l’isolamento sono più tollerati in una bambina, perché rispecchiano tratti caratteriali che ci si aspetterebbe più di frequente in soggetti di genere femminile, mentre lo stesso tipo di comportamento in un maschio è spesso riportato come prima preoccupazione da parte del 50% dei genitori. Al contrario, comportamenti esternalizzanti quali aggressività e oppositività sono ritenuti socialmente più accettabili nei soggetti di sesso maschile piuttosto che nel sesso femminile, tanto da spingere i genitori, in questo secondo caso, a richiedere più di frequente una valutazione specialistica.
Studi di popolazione hanno evidenziato che, in generale, presi in esame due soggetti in età prescolare che presentino lo stesso grado di severità di sintomi ascrivibili al disturbo dello spettro autistico, quello di sesso femminile avrà una minore probabilità di ricevere diagnosi di autismo. Questo può essere in parte spiegato dalle migliori capacità socio-comunicative delle bambine ASD, che possono in qualche modo mascherare delle iniziali, sfumate difficoltà. In epoca adolescenziale, però, il quadro si ribalta: le richieste ambientali e sociali per un soggetto di sesso femminile sono molto più complesse (con relazioni amicali strette, intense attività di socializzazione) rispetto al corrispettivo di sesso maschile (giocare a calcio o con i videogames), motivo per cui le ragazze ricevono diagnosi tardiva di disturbo dello spettro autistico molto più spesso dei ragazzi.
Considerato il peso che gli stereotipi di genere possono avere nell’influenzare la percezione sociale di “comportamento atipico”, un gruppo di ricercatori dell’Università di Bruxelles ha ideato uno studio per valutare questo aspetto. La dottoressa Geelhand e i suoi colleghi hanno messo a punto un questionario online di valutazione della gravità sintomatologica di comportamenti messi in atto da soggetti ASD di sesso diverso. Nello specifico a ciascun partecipante, un adulto tra i 18 e 64 anni, è stato chiesto di mettersi nei panni di un ipotetico genitore di un bambino o di una bambina di cinque anni e valutare una serie di comportamenti messi in atto da suo “figlio” in sette situazioni quotidiane diverse, create dagli autori sulla base degli item della ADI-R (Autism Diagnostic Interview-Revised, un test usato regolarmente per la valutazione dei sintomi ASD).
Tre le domande a cui i 385 partecipanti dello studio dovevano rispondere: il grado di preoccupazione rispetto al comportamento osservato, la probabilità di rivolgersi ad uno specialista e la previsione di persistenza di comportamenti atipici nel futuro (all’età di 15 anni). I risultati ottenuti non hanno messo in evidenza discrepanze nel grado di preoccupazione rispetto a comportamenti messi in atto da maschi o femmine all’età di 5 anni, mentre è emersa una differenza interessante: il grado di atipie del comportamento che ci si aspetta a 15 anni è decisamente maggiore quando vengono considerati soggetti di sesso maschile rispetto alla controparte di sesso femminile.
Questo dato conferma una convinzione piuttosto diffusa, quella che le ragazze escano più facilmente dalla diagnosi di autismo; in realtà il fatto che i soggetti di sesso femminile presentino, soprattutto in età infantile, comportamenti atipici di minore intensità rispetto ai maschi, non autorizza un atteggiamento di attesa, bensì rappresenta una sfida – prima per i genitori e poi per il clinico – ad approfondire anche gli aspetti comportamentali più sfumati, per far emergere eventuali difficoltà sottosoglia e poter intervenire quanto prima.
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