Il 23 ottobre 2021 si spegne una delle figure più importanti per la psichiatria dell’età evolutiva. Le opere di ricerca di Michael Rutter hanno rappresentato dei punti cardine scientifici, tali da condurre la moderna psichiatria infantile da “un’incoerente insieme di teorie” verso una “rigorosa disciplina umana” (come recita Nature).
Nato da famiglia inglese nel 1933 in Libano, dove il padre svolgeva la professione di medico, a 4 anni ritorna nel Regno Unito. Nel 1940, per timore di una possibile invasione tedesca, i genitori di “Mike” fanno rifugiare lui e la sorella minore in Nord America per 4 anni, dove vengono accolti da alcune famiglie adottive fino alla fine della guerra.
Studia medicina all’università di Birmingham e infine presso l’ospedale Maudsley di Londra. I suoi focus di ricerca spaziano dalla dislessia al disturbo da deficit d’attenzione. Tuttavia uno dei contributi maggiori di Rutter riguarda le influenze genetiche nell’ambito del disturbo dello spettro autistico. Siamo negli anni ’60 e numerose teorie attribuiscono alle madri e al loro modello di attaccamento il principio causale più accreditato riguardo l’autismo dei figli (teoria delle “madri frigorifero”). Tale visione viene ampiamente criticata nel suo libro “Maternal Deprivation Reassessed” che nel 1972 scardina un’immagine della madre lavoratrice carica di connotati negativi, ormai legata al passato.
I metodi strettamente empirici di Rutter differiscono ampiamente da quelli dei colleghi dell’epoca e sono tesi ad indagare con rigore scientifico possibili influenze genetiche e ambientali sull’autismo, utilizzando in particolare coppie di gemelli omozigoti per condurre gli studi. La pubblicazione dei risultati ottenuti nel 1977 aprì la comunità scientifica ad una nuova concezione sull’autismo e ne rivoluzionò i campi di ricerca.
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